Alphonse Giroux, cognato di Daguerre, costruì e smerciò con enorme successo un apparecchio per dagherrotipia la cui etichetta portava scritto: "Nessun apparecchio è garantito se non reca la firma del signor Daguerre e il sigillo del signor Giroux". L'apparecchio, che misurava cm. 30 x 37 x 50 (quindi non era molto maneggevole), era corredato di alcune lastre sensibili e dei prodotti occorrenti per la stampa. Costava 400 franchi e una dagherrotipia di piccolo formato veniva pagata da 80 a 120 franchi.
Un francese contemporaneo ríferisce: "I negozi d'ottica erano affollati di appassíonati che spasimavano per gli apparecchi di dagherrotipia e si vedevano dovunque macchine puntate su edifici. Ognuno voleva registrare la vista dalla propria finestra ed era fortunato colui che al primo tentativo riusciva ad ottenere il profilo delle cime dei tetti contro il cielo. Tutti andavano in estasi sui comignoli, contavano e ricontavano ogni tegola e i mattoni dei camini, si meravigliavano nello scorgere addirittura il cemento fra i mattoni. In una parola, tutto era così nuovo, che anche la minima prova dava una gioia indescrivibile ".
L'apparecchio costruito dal cognato di Daguerre, Alphonse Giroux, ebbe grande successo. Ne furono venduti migliaia di esemplari. Cliccare sull'immagine.
Nella sola Parigi, nel 1847, furono vendute 2000 macchine e mezzo milione di lastre. In Francia e in Inghilterra i dagherrotipisti eseguivano ritratti le cui dimensioni andavano dai 4 cm. per 5, ai 17 cm. per 22. Tali ritratti venivano poi montati su cornici di cartapesta o su astucci di metallo dorato e venduti ad un prezzo tra le due e le cinque sterline per lastra. Mentre i dagherrotipisti di professione accumulavano fortune, turisti, scrittori e artisti portavano nei loro viaggi, la macchina magica: ne ricavavano immagíni ricordo e illustrazioni per le loro opere.
Dopo che il procedimento di Daguerre venne reso pubblico nel 1839, il dagherrotipo diventò una vera e propria mania. Molti pittori abbandonarono tavolozza e pennelli per dedicarsi con assai maggior fortuna al nuovo mestiere di dagherrotipista. Nelle immagini di quel periodo traspare evidente lo stretto legame che univa le prime composizioni in citografia e in dagherrotipia con le composizioni pittoriche. L'equivoco di ottenere, mediante sostanze sensibili alla luce, immagini ad imitazione dei quadri, durò a lungo.
Quello che si cercò di ritrarre, nella maggior parte dei casi, furono gli effetti pittorici dei paesaggi. Gli appassionati del dagherrotipo furono dominati, insomma, dall'ambizione prevalente di riuscire a ottenere dei "bei quadri", si preoccupavano meno di andare a ritrarre gli aspetti della vita quotidiana, anche se i ritratti di quel tempo rimangono documenti vivi ed autentici dell'epoca. Eppure, fin dagli inizi, Niepce, Daguerre e i loro seguaci avevano dimostrato che la fotografia è un'arte a sè, che ha poco o nulla in comune con la pittura.
Essa, ma lo si capì solo molto piu' tardi, è un mezzo per "raccontare" con immediatezza, o per creare immagini che il pennello non è capace di inventare. Alcuni dei migliori ritratti eseguiti con la nuova tecnica furono opera di un miniaturista di Amburgo, Carl F. Stelzner. Del 1843 è il dagherrotìpo che ritrae un gruppo del Circolo Artistico di'Amburgo durante una gita in campagna. Insieme con un altro dagherrotipista, Hermann Blow, Stelzner ritrasse, nel 1842, il terribile incendio che distrusse un intero quartiere di Amburgo. Fu quello il primo "reportage" fotografico della storia.
Foto di gruppo degli appartenenti ad uno dei primi circoli fotografici, quello di Amburgo. L'immagine è del 1843 e fu eseguita dal tedesco Carl F. Stelzner. Cliccare per ingrandire.
Daguerre in realtà non inventò la fotografia. L'avevano inventata molti altri prima di lui. Non si sforzò neppure tanto a studiare, a sperimentare. Ebbe una grande fortuna, perchè riassunse, in una sintesi perfettamente aggiornata, le teorie altrui. La fatidica "mela" gli cadde in testa al momento giusto, in modo (diremmo oggi) funzionale.
Così Daguerre, da un giorno all'altro, diventò famoso legando al proprio nome l'intera storia della fotografia anche se in realtà con lui non era ancora vera fotografia, ma dagherrotipia, cioè un perfezionamento dell'eliografia di Niepce. Ma già si gridava al miracolo e nasceva una mania collettiva.
(Continua)
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