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Al di la'
dei sensi
dello
spazio
e del tempo |
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Scintilla
elettrica. Immagine ottenuta
per mezzo della fotografia ultrarapida |
Nel corso della
storia, l'uomo è andato creando e perfezionando un gran numero dì strumenti che hanno
aperto all'indagine della vita e della materia immensi orizzonti e possibilità
sconosciute alla ricerca basata esclusivamente sui dati dei sensi.
Uno dei mezzi più preziosi a tal fine è la tecnica fotografica. La sua importanza, che
è stata e continua a essere fondamentale per la scienza, dipende dal fatto che il senso
più particolarmente aiutato dalla fotografia è quello della vista. Con la scoperta e il
progresso della tecnica fotografica è stato come se le limitazioni dell'occhìo fossero
state completamente eliminate, allargando a dismisura le sue possibilità di percezione.
L'occhio è fra gli organi umani quello sensibile alle onde elettromagnetiche. Tuttavia la
sua capacità di percepirle è limitata a una ristretta banda di tali radiazioni. L'occhio
infatti non è sensibile alle onde radio nè all'infrarosso, nè all'ultravioletto, nè ai
raggi X nè a quelli gamrna. Le sole onde cui è sensibile - che cìoè colpendo l'occhio
di un uomo gli danno le sensazioni della luce e del colore - sono quelle che chiamiamo
visibili e che coprono un piccolissimo intervallo di frequenza fra l'ultravioletto e
l'infrarosso.
Una prima
conseguenza di questa limitazione è che l'uomo non può accorgersi, mediante il senso
della vista, di tutto ciò che, pur emettendo radiazioni elettromagnetiche, non ne emette
di visibili. Inoltre non può accorgersi se un corpo emette altre radiazioni oltre a
quelle che noi chiamiamo luce. E' quindi di enorme importanza disporre di un mezzo per
rivelare e studiare le radiazioni non visibili.
Un apparecchio unico, sensibile a tutte le radiazioni elettromagnetiche ancora non esiste;
ci sono invece apparecchi diversi: per le onde radio, i radioricevitori, per i raggi
visibili, l'infrarosso, l'ultravioletto, raggi X e i raggi gamrna, esistono diversi
strumenti, tra i quali la fotografia ha un posto di primo piano.
La fotografia ha vastissime applicazioni in primo luogo in quanto mezzo
sensibile alle radiazioni visibili. Può sostituire praticamente l'occhio, rappresentando
anzi un notevole vantaggio per la ricerca, tanto che quasi tutti gli strumenti di
osservazione sono corredati di apparecchi per la registrazione fotografica. Infatti,
fotografando un fenomeno se ne ottiene una immagine che può essere utilizzata per
studiarlo in un momento differente, in condizioni migliori e più a lungo. E' come se la
foto fermasse il tempo. Ne deriva che essa in gran parte sostituisce la memoria dell'uomo
nelle sue osservazioni del mondo esterno. Per questo la fotografia è sempre stata una
delle tecniche più correntemente usate nei laboratori scientifici.
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Macrofotografia
di una sezione di legno di piopppo (50 ingrandimenti) |
Ma veniamo alla
fotografia dell'invisibile. Dicendo che le emulsioni fotografiche sono sensibili
all'ultravioletto o all'infrarosso, si intende affermare che l'emulsione, sotto l'azione
della radiazione ultravíoletta o infrarossa, subisce delle modifìche le quali, mediante
lo sviluppo e il fissaggio della pellicola o della lastra, possono essere trasformate in
alterazioni cui l'occhio umano è se sibile, cioè nei chiaroscuri della negativa. In tal
modo l'emulsione sensibile a radiazioni direttamente non percepibili dall'occhio umano ci
permette di vedere l'invisibile.
Per fare un esempio delle sue applicazionì, si pensi che dallo studio di tutte le
radiazioni emesse da un corpo si possono ricavare preziose informazioni sulla costituzione
molecolare, atomica e subatomica della materia. E' questo l'oggetto di studi di quel ramo
della fisica che si chiama spettrografia.
Le emulsioni
fotografiche sono sensibili non soltanto alle radiazioni elettromagnetiche, ma anche alle
particelle materiali. Nel caso delle radiazioni elettromagnetiche si tratta di fotoni che,
colpendo i cristalli di sali d'argento contenuti nell'emulsione esposta, vi provocano
quelle alterazioni che poi si trasformano nell'annerimento delle negative. Nel caso delle
particelle materiali sono questi che provocano analoghe reazioni.
A tali proprietà delle emulsioni fotografiche si deve la scoperta delle sostanze
radioattive. Il caso volle che all'inizìo di questo secolo un blocchetto di materiale
contenente radio rimanesse chiuso in un cassetto insieme con un foglio di carta
fotografica protetta dalla luce, sul quale era stata posta una chiave di ferro. Il fatto
avveniva nel laboratorio parigino dove Eva Curie, scopritrice del polonio e del radio,
eseguiva le sue ricerche. Quando la Curie volle usare quella carta fotografica. ci trovò
sopra la negativa della chiave: le penetranti emanazioni del radio avevano impressionato
la carta ovunque eccetto che nella zona protetta dalla chiave.
Per questa
proprietà delle emulsioni, oggi la fotografia è forse il più importante mezzo di
ricerca della fisica nucleare. In tale campo la fotografia viene usata non soltanto per
registrare fenomeni esterni all'emulsione, ma soprattutto per osservare i fenomeni che
avvengono nell'emulsione stessa sotto l'azione di particelle materiali che la
"bombardano", siano esse i raggi cosmici oppure le particelle scagliate dalle
grandi macchine acceleratrici (cielotroni, sincrotroni, betatronì, ecc.). In tal modo si
esplora il nucleo degli atomi, si entra nel campo dove la materia può diventare energia e
l'energia materia. In mezzo alle microscopiche esplosioni provocate dagli urti delle
particelle subatomiche contro i nuclei degli atomi che compongono le emulsioni
fotografiche, i fisici sono riusciti a indìviduare molti dei "mattoni" che
costituiscono la complicata architettura del mondo materiale.
Un campo di vaste e
sempre nuove applicazioni è quello della fotografia all'infrarosso. Oltre che dalla luce
solare, le radiazioni infrarosse provengono da tutti i corpi, in proporzione tanto
maggìore quanto più elevata è la loro temperatura. Disponendo di sensibili rivelatori,
è possibile osservare che anche il corpo umano è una sorgente, sia pure modesta, di
radiazioni infrarosse.
Chi si diletta a scattare fotografie conosce le difficoltà che si hanno per ottenere
buone immagini di paesaggi lontani velati dalla foschia. Quale ne è la causa?
Generalmente le emulsioni fotografiche hanno una sensibilità diversa da quella
dell'occhio umano e limitata ad alcune regioni dello spettro luminoso; essa tende ad
accentuarsi verso le radiazioni a più piccola lunghezza d'onda, cioè verso le
ultraviolette. Ne consegue che un'emulsione ordinaria, essendo pochissimo sensibile al
giallo, al verde e al rosso, non solo rende male in bianco e nero, questi colori, ma non
è adatta per la ripresa di panorami che interpongono un notevole strato d'aria - molto
spesso impregnata di innumerevoli goccioline d'acqua - che trattiene le radiazioni
ultraviolette.
Per correggere
questo inconveniente sono state studiate prima le emulsioni ortocromatiche, poi quelle
pancromatiche, che permettono un notevole miglioramento nella resa dei colori anche
perchè la sensibilità al rosso è molto aumentata.
All'uso di queste emulsioni si è accoppiato quello di appositi filtri
(gialli, arancione, rossi) destinati ad assorbire la maggìoranza delle radiazioni
violette dannose alla buona riuscita specialmente delle fotografie dei cieli e dei
paesaggi. Ma in caso di foschia le normali emulsioni pancromatiche, anche con fìltro
rosso che trattiene al massimo i raggi violetti, conducono a una mediocre impressione
delle immagini lontane e i particolari che si trovano al di là del velo di foschia non
risultano leggibili.
I risultati possono però essere decisamente migliori con l'uso di una pellicola sensibile
all'infrarosso. Si è infatti constatato che, mentre la foschia e la nebbia, anche se di
piccolo spessore, si comportano come corpi quasi opachi per i raggi luminosi visibili e
per le radiazioni ultraviolette, per le radiazioni infrarosse si comportano invece come
corpi semi-trasparenti e queste radiazioni rieescno ad attraversarle.
Le ricerche fatte da
vari studiosi sulle proprietà di alcune sostanze come sensibilizzatríci delle normali
emulsíoni per quasi tutti i colori dello spettro portarono, nel 1931, alla prima
realizzazìone pratica e commerciale di lastre e pellicole sensibili ai raggi infrarossi.
Con esse non è però possibile fotografare attraverso una spessa coltre di nebbia, al
massimo si può vincere una discreta foschia.
Nella foto all'infrarosso i corsi di acqua sono resi neri, i prati e gli alberi in
vegetazione bianchi, le costruzioni scure. Se la foto all'ínfrarosso è eseguita da un
aereo, l'incisività dei particolari non è forte come nella foto normale, ma è
sufficiente per distinguere le zone coperte da vegetazione che in dipendenza del loro
diverso contenuto di clorofilla sono rese nelle diverse tonalità. Nella fotografia
archeologica fatta dall'aereo, il confronto fra una immagine ripresa con emulsione normale
e una ripresa all'infrarosso mette in risalto questa particolarità e lo studioso che le
interpreta può dedurre l'esistenza di costruzioni sepolte dal tipo di vegetazione che le
ricopre.
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La fotografia
della punta di un ago di tungsteno ingrandito 2 milioni e 750 mila volte svela le segrete
trame della Natura
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Un'altra tecnica che
non sfrutta alcuna radiazione luminosa, ma soltanto i raggi infrarossi, è quella delle
fotografie termiche, così dette perchè, riprese di notte, mettono in evidenza il calore
che si sprigiona dagli edifici dove ferve un'attività umana, soprattutto dalle
fabbrìche. Questa prerogativa è utile nella ripresa aerea perchè le strade e gli
aeroporti, riscaldati dai gas di combustione dei veicoli e dall'attrito delle gomme,
denunciano all'esperto la mole di traffico che vi si svolge. Nelle regioni artiche,
pericolose soprattutto per i crepacci che si nascondono sotto lo strato di neve, un
apparecchio fotografico con materiale sensibile anche alle radiazioni infrarosse, emesse
dai corpi al di sotto della temperatura di congelamento, individua i crepacci lungo il
tragitto che sarà percorso dalle squadre d'esplorazione. Infatti se il crepaccio è
coperto da uno strato di neve, l'arìa sottostante è più calda del ghiaccio delle pareti
e ne appare traccia nelle foto all'infrarosso della ricognizione.
Una tecnica
fotografica originale è l'evaporografia, inventata in Germanìa tra il 1930 e il 1940 e
poi perfezionata negli Stati Uniti. Consiste nel produrre immagini su una pellicola
sottilissima dove la emulsione evapora maggiormente laddove è colpita dalle radiazìoni
infrarosse. Un apparecchio di questo tipo permette di rivelare le erosìoni delle caldaie
e i punti pericolosamente caldi dei missili. Con la evaporografia è anche possibile, in
determinate condizioni, mettere in evidenza, a causa della diversa temperatura locale,
zone del corpo colpite da tumori maligni.
Nell'indagine medica la fotografia all'infrarosso ha certamente, se riferita ad altri
mezzi come i raggi X o alle moderne tecniche ecografiche, una funzione limitata e tuttavia
nettamente definita perchè pone a disposizione una prova ben visibile di una situazione
invisibile.
L'obiettivo mette in
risalto il tracciato venoso superficiale: il sangue non ossigenato appare nero nella foto
all'infrarosso, mentre le arterie non sono messe in evidenza. La letteratura medica indica
quelle condizioni patologiche (vene varicose, ustioni, trombosi, carcinomi, ecc.) che
determinano variazioni nel tracciato venoso superficiale e che l'emulsione all'infrarosso
permette di studiare.
In particolar modo in ciminologia la fotografia all'infrarosso permette di decifrare e
rendere leggibili, reperti e documenti cancellati o alterati. Questo mezzo di indagine
viene usato soprattutto per dimostrare i falsi, per rendere visibili immagini e scritti
consumati dall'acqua o dal fuoco. La foto all'infrarosso consente inoltre l'esame del
contenuto di una busta chiusa e la determinazione del monossido di carbonio che impregna
le vittime di avvelenamento da gas.
FOTOGRAFIA
E SCIENZA 2
SECONDA PARTE
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